Il linguaggio inclusivo e la parità di genere – intervista con Ella Marciello

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Ella Marciello è stata nostra ospite in Content University per un’intrigante intervista sul linguaggio e l’inclusione.
Una cosa è chiara: il linguaggio non è fisso e, come dice Ella, bisogna conoscere le regole per poi sapere quali infrangere per creare un linguaggio che rappresenti di più le persone.

Ella Marciello è l’autrice di Scrittura Ribelle, Direttrice Creativa, Copywriter e Creativa di Hella Network

La lingua evolve infrangendo le regole che non ci permettono di esprimerci come vogliamo.

In questo momento, in italiano, il genere femminile è linguisticamente discriminato: il maschile sovraesteso, per indicare uomini e donne, è una pratica che abbiamo usato da sempre e che ci insegniamo da quando siamo piccoli per semplificare il linguaggio.

Ma il linguaggio evoca immagini, idee e convinzioni: se escludiamo, ad esempio, la possibilità che ci sia UNA ministrA e parliamo solo di ministrO, ci facciamo rapidamente l’idea che le posizioni di potere siano coperte solo da uomini. Prova a pensarci: se ti diciamo “pensa a un Amministratore Delegato”, ti viene in mente un uomo o una donna?

Non è semplice, soprattutto in italiano, perché il linguaggio potrebbe diventare ridondante, se usiamo sempre il maschile e il femminile. Dobbiamo però accettare la sfida e trovare formule diverse, che siano poi accettate e che diventino uso comune. Invece di “benvenuti”, quindi, possiamo sicuramente dire “benvenute e benvenuti”, ma possiamo anche eliminare la ripetizione e scrivere “vi do il benvenuto”. Il linguaggio ci permette di trovare altre soluzioni e, soprattutto chi scrive per mestiere, deve accettare questa sfida.

Negli annunci di lavoro, ad esempio, è molto importante includere anche il genere femminile: le ricerche dimostrano che le donne non mandano la candidatura se non hanno almeno il 90% delle competenze richieste, mentre gli uomini mandano ugualmente la candidatura anche con molte meno competenze. Il linguaggio poi diventa fiducia in sé, diventa capacità di “sentirsi inclusə” e non soltanto di includere.

Il linguaggio è uno strumento potente nella detenzione del potere: è facile svilire e depotenziare il ruolo di una persona al lavoro, chiamandola per nome, ad esempio. Se presentiamo il collega maschio come “Dott. Rossi” e la collega come “Clara” abbiamo già stabilito un rapporto di subordinazione, anche quando questo non esiste.

Per questo è importante lavorare sul linguaggio, sperimentare e combattere affinché diventi coscienza comune.

Guarda l’intervista completa:

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