L’utilizzo dei KPI per la Customer Experience

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Articolo tratto dal corso Customer Experience Master Programme.

Immagina di procedere con il lancio di un progetto di Customer Experience.
Vi siete dati degli obiettivi, basati sulla Visione e la promessa del cliente. Adesso dovete scegliere le metriche da usare, per misurare il progresso (che è fonte di motivazione e di focus, permettendo alle persone di vedere un risultato concreto dei loro sforzi) e valutare anche l’efficacia delle azioni e delle persone.
Le metriche della Customer Experience sono molte, ne citiamo le principali:

  • Net Promoter Score
  • CSat
  • CES
  • Churn/Early Churn
  • Average Handling Time (AHT)
  • First Call Resolution (FCR)
  • Average Speed to Answer (ASA)
  • Repeat Purchase Rate
  • Return rate
  • Lamentele dei clienti
  • Customer Lifetime Value (CLV)

Non è un elenco esaustivo, ma ci serve per fare degli esempi e comprendere soprattutto quali sono gli errori da evitare, che purtroppo noto frequentemente.
Prima di addentrarci in queste metriche, facciamo un ragionamento sui KPI, gli indicatori chiave di performance, e la motivazione umana. O, per meglio dire, le micro-motivazioni umane che sono presenti in tutti noi.
Ognuno di noi è altamente influenzato da stimoli esterni, che lo vogliamo o no. Più sono forti questi stimoli (cioè la promessa di ricompensa è alta o la minaccia di un dolore è forte), più i nostri comportamenti varieranno e tradiranno perfino i nostri valori.
Un caso classico, ormai conosciuto dalle aziende, è misurare i venditori in base al fatturato che portano all’azienda. Grande errore: un venditore, di solito una brava persona, inizierà a manipolare i clienti, oppure a promettere cose che poi l’ufficio tecnico avrà grandi difficoltà a mantenere, tra l’altro riducendo o annullando tutta la marginalità. Queste spinte sono presenti intorno a noi e, se non ne siamo consapevoli, funzioneremo come delle palline da ping pong. Ti faccio uno dei tantissimi esempi che ho visto. Siamo ad una conferenza di più giorni: il primo giorno, a pranzo, le persone comprendono che l’organizzazione non è fantastica e che chi non arriva tra i primi, deve aspettare trenta minuti in piedi prima di mangiare. Cosa succede il secondo e ancora di più il terzo giorno? All’ultima sessione, prima di pranzo, diverse persone cominceranno ad alzarsi prima che la persona finisca il suo intervento, soprattutto se queste persone possono conservare l’anonimato (sala grande, poca luce, moltissima gente). Vedi com’è facile?
Ecco alcune regole che mi sento di darti quando costruisci un progetto di CX e inserisci delle metriche.

Bilancia le metriche di Customer Experience per creare una cultura cliente-centrica

I KPI devono essere sempre accoppiati

Prendi quel “sempre” con le pinze, perché potrebbero esserci delle eccezioni. Ma sono poche. Cosa significa? Significa che devi sapere combinare KPi diversi che si smorzano a vicenda.

Ritorniamo all’esempio del venditore o della venditrice valutatə in base al fatturato. Come possiamo eliminare i problemi di spinta esagerata verso i clienti e, soprattutto, di promesse di personalizzazione che dopo rischiano di fare perdere addirittura soldi o reputazione all’azienda? Accoppiamo questo indicatore con, ad esempio, il margine minimo di vendita a consegna effettuata, prendendo in considerazione anche le eventuali rilavorazioni dell’ufficio tecnico. Questo significa che se un venditore è davanti a un cliente che vuole una macchina, ma con una personalizzazione costosa, questa volta il venditore sa che perderà il suo bonus, se accetta e quindi dirà al cliente che la personalizzazione costa un tot in più. Si crea, tra l’altro, un circolo virtuoso, perché adesso il venditore deve trovare altre leve per convincere il cliente o la cliente, e quindi l’azienda potrebbe investire in un percorso di formazione molto avanzata sulla vendita, con script di vendita che mettono in risalto in grandi vantaggi di una personalizzazione.

Insomma, KPI almeno accoppiati creano un miglioramento continuo e, soprattutto, una narrazione più complessa ma certamente più completa della direzione verso cui vogliamo andare. Non solo quindi, “vendere di più”, che diventa, nella mente delle persone, “vendere di più a tutti i costi per prendere il mio bonus”, ma “vendere in modo da preservare la marginalità dell’azienda e la soddisfazione dei clienti e delle clienti”.
Per bilanciare correttamente i KPI, bisogna fare il gioco delle “tensioni di bilanciamento”. Quando introduciamo in azienda una delle metriche che vogliono utilizzare, chiediamo: “provate a pensare a quali sono i comportamenti che questo singolo indicatore potrebbe portare. Dal più piccolo, al più grande.
Immaginiamo di dovere bilanciare gli script di vendita, sia online che in negozio.

Avrai sicuramente avuto la non piacevole esperienza di entrare in un negozio e trovarti un commesso o una commessa con un addestramento, tra l’altro spesso piuttosto rozzo, alla vendita a ogni costo: consigli non richiesti, insistenza, gestione delle obiezioni a volte veramente imbarazzante, fino alla manipolazione delle informazioni.
Immagina, quindi, che l’indicatore sia il fatturato del negozio, oppure lo scontrino medio, che dovrebbe essere bilanciato con KPI di Customer Experience (eh sì, il problema è che abbiamo anche altri indicatori, vero?).

Adesso chiedo alle persone di mappare cosa succede nel touchpoint quando questo indicatore viene seguito alla lettera. Troviamo tanti comportamenti, da ricerche, feedback dei clienti o esperienza diretta in negozio.
In questo caso, come esempio, ne ho mappati tre, peraltro abbastanza classici – non ho certo esagerato.

La distorsione dei KPI - CX Master Programme, Content University

La scala è da zero a dieci per semplificazione, potrebbe essere anche diversa. In ogni caso, il numero basso corrisponde ad un comportamento non così distorto, che si potrebbe combinare bene con altri indicatori di Customer Experience: più il numero è alto, più individuiamo distorsioni nei comportamenti, generando quindi esperienze inattese e poco piacevoli.

Al numero due ho messo il classico cross-sellino, che può essere fatto in modo molto elegante, mettendosi in ascolto della persona, oppure in modo più rozzo tipo “compra anche questo” o “perché non arrivare a dieci, già che ne hai presi nove?” (Già, perché? Forse perché ne voglio proprio nove?).

In questo caso, anche su u sito web che mi consiglia prodotti ulteriori rispetto a quello che ho messo nel carrello, la rilevanza è importantissima. Quando il sito e-commerce mi dice che le persone che hanno comprato l’articolo che sto guardando io, ne hanno comprati altri, ma sono completamente irrilevanti e, a volte, sono gli stessi prodotti che ho già comprato io, qualche sospetto che non siano proprio, come minimo, algoritmi precisi, mi viene.

Se invece mi viene consigliato un articolo, con un buon copy di spiegazione del perché me lo consigliano e con una pagina di approfondimento pronta per essere letta, allora io potrei anche comprendere che, sì, in effetti, potrei comprare anche questo prodotto.
Come sappiamo, però, i singoli KPI portano velocemente a distorsioni comportamentali anche piuttosto acute, soprattutto quando non c’è cultura cliente-centrica e quando la persona non è ben formata. Quando la persona in negozio comprende che il prodotto X le farà guadagnare di più sia in termini economici che di reputazione aziendale, comincerà a dirottare i clienti e le clienti verso quei prodotti. L’ascolto si chiude, perché la persona è impegnata a pensare a come guidare il cliente o la cliente verso quel prodotto generando, di solito, una sensazione di sfiducia e persino di fastidio.

Arriviamo facilmente al punto in cui il commesso o la commessa (oppure la Landing Page) manipolano informazioni, o le nascondono, pur di vendere. Prima o poi queste cose comunque vengono fuori, con conseguente perdita reputazionale anche grave, ma il danno intanto è fatto.
La soluzione è quella di bilanciare, quando non è possibile eliminare, la metrica che genera comportamenti distorti con metriche (e cultura) di equilibrio, dando ad esempio priorità alla consulenza e all’ascolto delle persone e molta meno enfasi alla vendita, anche perché poi di solito si osserva un aumento delle vendite e dello scontrino medio proprio perché le persone si fidano molto più di noi.

I KPI di Customer Experience e la valutazione della performance

Secondo principio:
Le metriche di CX non devono essere direttamente legate ai premi di performance.
Prendiamo il nostro caro NPS – Net Promoter Score.
È una metrica molto conosciuta che non presenterò a fondo, perché ci si potrebbe scrivere un libro a riguardo (è stato fatto, in realtà, più di uno).
Che cosa rappresenta questa metrica?
  • La metrica misura la volontà delle persone di consigliare la tua azienda ad altre persone
  • Alle persone viene fatta una semplice domanda:
“Con quale probabilità consiglieresti questa azienda a un amico o a un collega?”
I clienti valutano le loro risposte su una scala da 0 a 10. Le risposte fornite dai clienti sono classificate come segue:
0–6 = Detrattori – clienti insoddisfatti che generano passaparola negativo e possono cambiare azienda;
7–8 = Passivi – clienti soddisfatti ma indifferenti, quindi poco fedeli;
9–10 = Promotori – clienti fedeli che probabilmente riacquisteranno e consiglieranno i tuoi prodotti.

Il Net Promoter Score

Alcune indicazioni di massima:
  • L’NPS è un indicatore qualitativo ed è quindi poco preciso. Può inoltre variare nel tempo: per questo alcune aziende misurano la media degli NPS misurati in diversi periodi di tempo.
  • Alcune aziende misurano anche la media dell’NPS, per non tralasciare le persone che danno un voto da 7 a 8, comunque buono, ma non considerato dall’NPS.
  • Questa metrica deve essere misurata insieme ad altre, per avere un quadro completo dell’esperienza dei clienti nel tempo – l’NPS infatti non rivela perché le persone danno questo tipo di punteggio e cosa deve fare l’azienda per migliorarlo.
  • L’NPS è situazionale: è fortemente influenzato dalla recente interazione del cliente. Un cliente arrabbiato, lascerà un punteggio basso, anche se normalmente è contento. Per questo si distinguono due tipi di NPS:
  • NPS transazionale – misurato immediatamente dopo una transazione o interazione con l’azienda;
  • NPS relazionale – misurato lontano da un’interazione recente dei clienti.
La domanda relativa al punteggio (quanto raccomanderesti…) viene spesso seguita da una richiesta di commento del voto al cliente. È importante raccogliere questi feedback aperti e analizzarli per riuscire a spiegare al meglio il numero (NPS).
Questa metrica ha generato distorsioni anche molto grandi nel settore: ne ho già citati alcuni esempi in questo libro. Non è però colpa della metrica, ma del suo utilizzo. Le aziende che non hanno comunicato il valore della metrica, il suo scopo e che magari hanno legato il punteggio “secco” del Net Promoter Score ad un bonus di performance, hanno commesso un grande errore. Perché a quel punto la filiale, il team e-commerce, il negozio, chiunque sappia contare fino a 100, si fisserà sul numero che darà più o meno vantaggi per loro (e non per i clienti). “NPS di 32? Ok, dobbiamo fare qualcosa, per portarlo almeno a 50, altrimenti non ci danno il bonus e, anzi, veniamo puniti,” ci si dice, preoccupati, nel team. Ma il team non ha ricevuto molti strumenti per migliorar l’NPS in modo efficace per la Customer Experience e quindi si inventa stratagemmi, di solito manipolatori. Ne riassumo alcuni:
  • Operatore/operatrice al telefono che ti dice che “spera che la tua giornata sia da 10” (fonte: Winning on Purpose)
  • Operatore/operatrice al telefono che dice che l’unico numero che conta è il 10, tutto il resto è negativo
  • Persona in filiale/negozio, che ti avverte che se metti meno di 10, qualcuno ti chiamerà, dovrai sottoporti a una sfilza di domande (ti fanno capire che è un fastidio enorme”.
Queste dinamiche sono tristemente note. Allora cosa possiamo fare con le nostre metriche? Ci sono molti sistemi per trarne beneficio. Il principio che dobbiamo ricordarci è che la metrica è una misurazione, non una valutazione. Quindi, ad esempio, possiamo premiare le persone o i team che hanno sviluppato più progetti di Customer Experience per aumentare l’NPS. In questo caso, il focus è sui progetti: senza progetti, non c’è nessuna ricompensa. In questo caso, le persone devono pensare al cliente o alla cliente, ai loro bisogni e devono concentrarsi sulla Customer Experience e non sul numero. Dovranno essere formate ed immerse in una cultura cliente-centrica (sì, sempre lei). Potranno condividere best practice con altri team. Il focus si sposta completamente. La metrica è salva, perché aumenterà, ma con comportamenti virtuosi.
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La cultura cliente-centrica e un sistema di Customer Experience che si basa sui comportamenti

Terzo principio:
I KPI devono avere un sistema di supporto
Arriviamo al terzo e ultimo principio che riassume i primi due: i KPI devono avere un sistema di supporto, vale a dire un sistema che produca abitudini virtuose all’interno dell’azienda e sostenga una cultura cliente-centrica. Cosa significa sistema di supporto? Un insieme di dinamiche che permette alle persone di usare la metrica al meglio.
Ecco alcuni esempi:
  • Comunicazione chiara e trasparente di scopi e valore della metrica.
  • Sistema di miglioramento della metrica che premia i comportamenti cliente-centrici e scoraggia la manipolazione della metrica stessa.
  • Un sistema di condivisione della metrica, per definire best pratice e errori da cui prendere spunto per imparare.
  • Un sistema di “promozione” costante delle metriche e, soprattutto, dei comportamenti richiesti, in azienda, con eventi, anche creati a proposito, riunioni, ecc.
  • Un sistema di reclutamento che prenda in considerazione i comportamenti e, quindi, le attitudini preferite dalla cultura.
  • Un sistema di performance review che si concentri sui comportamenti e i progetti di miglioramento della CX e che abbia, in sottofondo, la metrica come misurazione quantitativa o qualitativa.
Per questo inserire un KPI di Customer Experience in azienda non è proprio così semplice e mandare una mail con una circolare da leggere a tutte le persone per poi lanciare la metrica, valutando magari l’operato delle persone sul numero nudo è crudo, sono gravi errori che, purtroppo, ancora troppe aziende fanno.
Le metriche di CX misurano la tua cultura: non sono valutazioni delle tue persone. Per questo, hanno bisogno di un sistema: un insieme di routine, comportamenti, attività il cui scopo è chiaro, che permetta alle persone di dimenticarsi delle metriche e di concentrarsi sui veri protagonisti di questa storia: i clienti e le clienti.

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